Naufragio sulla Bessanese

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Ritratto di marcoandreis
marcoandreis

Il racconto che segue è liberamente ispirato ad un fatto realmente accaduto nell’autunno del 1893.
La cronaca, tratta da un manoscritto tramandato a Balme, in Val di Lanzo, è contenuto nel libro di Francis Tracq e Giorgio Inaudi “PASTORI CONTRABBANDIERI E GUIDE TRA VALLI DI LANZO E SAVOIA”, edito da Il Punto, a Torino nel 1998.

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NAUFRAGIO SULLA BESSANESE

Monsieur Charbonnet, ha appena finito la toeletta mattutina, i capelli castani, tagliati quasi a spazzola, e la corta barba gli conferiscono un aspetto marziale, ma Joseph Charbonnet, 35 anni compiuti da poco, non è un militare; è un uomo benestante, aperto alle innovazioni scientifiche che alla fine dell’800 stanno via via affascinando le menti più aperte del tempo, è un uomo che si potrebbe trovare in un romanzo di Jules Verne, fedele alla scienza ed al libero pensiero, in particolare lui ha una vera e propria passione per il volo.
Certo, il volo, il volo in mongolfiera, i palloni che si levavano nei cieli della Francia lo hanno affascinato sin da bambino, forse anche grazie ai racconti infervorati del nonno paterno che, il 7 gennaio 1785 aveva collaborato a far decollare la mongolfiera con cui Jean-Pierre Blanchard e John Jeffries avevano effettuato la trasvolata della Manica.
E’ il 9 ottobre 1893, Charbonnet è a Torino perché, due giorni prima ha sposato Annetta Demichelis, una bella e giovane donna di 23 anni conosciuta qualche tempo prima ad una festa nella villa dei Conti Pastoris di Saluggia, a Grugliasco, poco ad ovest della città.
Annetta sta ancora sonnecchiando a letto, Joseph le si avvicina e le da un bacio: - Allora sei pronta per la sorpresa?
- Oh tesoro, è da due giorni che mi parli di questa sorpresa per il nostro viaggio di nozze; non vedo l’ora di capire che cosa mi hai preparato. Sei un uomo fantastico ma anche un po’ imprevedibile!
- Vedrai, è una cosa che certamente non ti aspetti. Ma adesso preparati, tra poco verrà Francois con il calesse e se per questa sera vogliamo essere a Bessans non dobbiamo tardare.
Annetta si è alzata a metà ad abbracciare il marito, lo guarda con un dolce sorriso e gli accarezza i capelli:
- Non vorrai andare fino a Bessans in calesse!
- Sarò imprevedibile come dici tu, ma non fino a questo punto! Fidati e ti divertirai!
Joseph e la moglie hanno appena finito i preparativi quando Francois giunge con il calesse.
Francois è di un anno piu giovane di Joseph, grandi amici fin dall’infanzia hanno però avuto destini diversi non essendo il primo benestante come la Famiglia Charbonnet; dopo l’età spensierata dei giochi, Francois ha dovuto cominciare a lavorare, prima come garzone in un allevamento di vacche in Savoia, poi in miniera, fino a quando, quasi per caso, ha rincontrato il suo vecchio amico che gli ha offerto di entrare al suo servizio e così è stato.
Da quel momento in poi, il rapporto che li aveva legati da bambini si è rinsaldato, tanto che non sembrano affatto padrone e servitore.
- Ciao Francois, è tutto pronto?
- Tutto pronto come hai detto tu.
Joseph fa accomodare Annetta sul calesse e partono alla volta della Cascina Pellerina.
- Annette, vedrai, in breve saremo a Bessans, ho già telegrafato in albergo per annunciare il nostro arrivo, e poi ci sono un sacco di vecchi amici ai quali voglio far conoscere la mia meravigliosa sposa!
- Sei lusinghiero stamattina! Ma dimmi come viaggeremo?
- E… e la sorpresa?
- Oh Joseph, qualunque cosa tu abbia in mente mi piacerà di certo! E poi con te vicino … Ma sai che forse una mezza idea me la sono fatta? Vista la tua passione per il volo …
- Hai visto Francois? La mia Annette è estremamente perspicace! Mi ha scoperto!
- Pazienza, mon amì, per lei sarà comunque una sorpresa visto che è la prima volta che vola.
- Si, è data la bella giornata non dovremmo incontrare alcun problema e potremo goderci uno splendido panorama. Per essere ottobre il tempo si mantiene bene, anche se trovo stano che ci siano ancora temporali di questa stagione.
- Si effettivamente è un po’ anomalo quest’anno; sembra ancora estate.
Il calesse raggiunge la Pellerina dove un gruppo di curiosi si è già radunato da un po’ per assistere allo strano spettacolo: distesa sull’erba una grande sagoma tondeggiante in tessuto, 60 per 40 metri, legata da numerose funi ad una capiente e robusta cesta in vimini, attorno alla quale armeggiano alcuni uomini.
Dolcemente la sagoma in tessuto si gonfia e prende la forma di un pallone che comincia a salire verso l’alto mettendo in tensione le funi e strattonando la cesta che, se non fosse saldamente ancorata al suolo salirebbe in aria con il pallone.
- Hai visto mia cara?
- Certo, come immaginavo Joseph, non finisci di stupirmi, e dire che siamo insieme solo da due giorni, chissà in futuro!
Un uomo si stacca di corsa dal gruppo che armeggia intorno all’aerostato e si dirige verso il calesse:
- Buongiorno Monsieur Charbonnet, buongiorno signora, siamo praticamente pronti per decollare, se volete darmi il vostro bagaglio.
- Grazie Battista, puoi caricare le nostre due borse, io e mia moglie arriviamo subito.
I signori Charbonnet, Francois e Battista, prendono posto nella cesta e, messosi ai comandi, Joseph ordina ai suoi secondi di mollare le funi di ancoraggio e l’aerostato comincia a salire nel cielo di Torino.
Le correnti ascensionali sono straordinariamente favorevoli e li sospingono dolcemente, ma rapidamente, verso l’alto e verso ovest; presto il paesaggio sotto di loro diventa come una mappa topografica, le case si fanno piccole piccole e le persone non si vedono più.
La Stura è un nastro d’argento sotto il sole, i giardini della Venaria un mosaico di grigi dei viali e di verde delle aiuole e dei boschi, la tenuta di caccia della Mandria un’immensa macchia verde scuro ondulata nel susseguirsi di rialzi boscosi, poi i primi contrafforti della catena alpina, l’abitato di Lanzo e la stretta gola del ponte del diavolo, e infine proseguendo verso ovest, la dorsale delle montagne delle Valli di Lanzo.
Charbonnet controlla il barometro.
- Siamo saliti in fretta, dovremmo essere sui 3500 metri, molto bene.
La giovane sposa è letteralmente estasiata, continua a guardare ora verso il basso ora verso l’orizzonte senza parole, tanto è il suo impegno a godersi il panorama veramente indescrivibile.
- Oh Joseph, sei un uomo fantastico, mi hai fatto un regalo stupendo, non mi aspettavo che da quassù fosse così bello. Guarda le montagne la sotto, sono quelle della Val d’Ala?
- Certo mia cara. Proprio laggiù, sotto di noi, c’è l’abitato di Ala di Stura. Ti ricordi quando lo scorso anno siamo stati ospiti del Cavaglier Martelli?
- Si mi ricordo soprattutto quella lunga escursione a quello splendido laghetto di cui adesso mi sfugge il nome!
- Si, il Lago di Aframont; se guardi attentamente, tra breve dovresti scorgerlo sulla nostra sinistra.
Francois si avvicina all’amico indicandogli un grosso sistema di cumulonembi proprio davanti a loro.
- Hai notato quelle nuvole? Che ne pensi? Ci finiamo proprio in mezzo!
- Le avevo già viste! Sono un po’ cupe ma credo sia una formazione temporalesca di poco conto a ridosso della catena di confine, sopra il Pian della Mussa.
- D’accordo, sei tu l’esperto, ma tieni conto che alcune vette superano i 3500 metri e noi a che quota siamo?
- Mah, il cambiamento meteorologico repentino potrebbe falsare un po’ la lettura del barometro, d’altra parte la pressione è scesa bruscamente, tuttavia posso stimare di essere intorno ai 3600 metri. E poi, dal percorso che ho tracciato, passeremo sopra i Denti del Collerin, a nord della Bessanese, che sono almeno 300 metri più in basso di noi; direi che non c’è motivo di inquietudine.
Pochi minuti dopo e l’aerostato si trova avvolto in mezzo alle nubi: nere nubi temporalesche, che si muovono con andamento vorticoso e stanno scaricando sul Pian della Mussa un vero e proprio diluvio.
Annetta ha paura, non c’è più nulla di bello da guardare, solo nubi cupe che impediscono di vedere anche a pochi metri; l’aria si è fatta fredda, il marito, ai comandi dell’aerostato, si sforza di capire dove stanno andando, fiocchi di neve sferzano il suo viso, gli altri occupanti della cesta cercano di riparasi come possono, la tensione è palese.
Minuti che sembrano eterni, il tempo pare essersi fermato in mezzo ad un grigio compatto che stordisce.
- Tutto bene mia cara?
Chiede Charbonnet alla giovane moglie.
- Si, si, solo vorrei che fossimo di nuovo fuori da queste nubi e dalla tempesta!
- Non temere, appena superata la catena di confine incontreremo di nuovo il sole, è questione di poco tempo; rannicchiati nella cesta, prenderai meno aria.
Joseph Charbonnet, nonostante il controllo di sé, si rende però conto che l’aerostato è poco governabile in quelle condizioni atmosferiche, il barometro gli dice che negli ultimi minuti sono scesi di circa 600 metri di quota e non potendo vedere nulla non sa se hanno già superato le montagne, ma se così non è sono decisamente troppo bassi, maledettamente bassi!
- Francois, Battista, mollate un po’ di zavorra!
Francois lo guarda preoccupato, sa bene il motivo di questo comando.
I sacchi di zavorra vengono sganciati, l’aerostato accenna a salire, Joseph tira un mezzo respiro di sollievo, il peggio sembra allontanarsi.
Mentre sta pensando queste cose, le nubi si diradano, ma quello che il momentaneo squarcio gli permette di intravedere è tuttaltro che rincuorante, anzi, un’espressione mista di terrore e stupore gli si dipinge sul volto: una cresta di grigie rocce frastagliate spaventosamente verticale è a poche decine di metri davanti a loro!
- Presto, mollate altra zavorra, mollatela tutta, non perdete tempo!
- Che succede mio caro?
- Nulla Annetta, nulla, dobbiamo solo salire un po’, resta al riparo in fondo alla cesta, va tutto bene.
- Francois, maledizione, ti vuoi sbrigare con quella zavorra?
- Stiamo facendo più in fretta che poss…
Una vibrazione violenta scuote la cesta, i quattro occupanti si ritrovano ad aggrapparsi disperatamente alle sponde, il pallone ha urtato la montagna!
La tela si squarcia sulle rocce appuntite, le corde si attorcigliano, la cesta è paurosamente inclinata e comincia a scivolare rapidamente lungo la cresta verso l’invisibile baratro sottostante, le grida di terrore si mescolano al rimbombo dei tuoni.
Improvvisamente, quasi per un miracolo, la rovinosa corsa verso il basso rallenta, la cesta è meno inclinata e nessuno degli occupanti corre più il rischio di cadere fuori, la tela del pallone è in parte scesa a coprirla e le funi, impigliate nelle rocce la stanno trattenendo.
Le nubi si diradano rapidamente, il temporale sembra cessare, ora si può vedere cosa c’è sotto: la cesta è sospesa lungo la cresta, a una decina di metri dal ghiacciaio sottostante, trattenuta dal cordame attorcigliato e da lembi della tela dell’aerostato.
I quattro sfortunati si riprendono un po’, Annetta, pallida in volto ed ammutolita, continua a tremare in preda allo choc, Battista perde sangue da una ferita al braccio sinistro ma non sembra una cosa grave, Francois è un po’ stordito per aver sbattuto la testa contro il bordo della cesta, Josep sembra perfettamente incolume, fatto salvo lo spavento.
- Annetta, Annetta, su, riprenditi, come stai? Sei ferita? Coraggio tesoro, siamo vivi, il peggio è passato!
- S…i, s…i, Joseph, non ho nulla, solo sono terribilmente spaventata, ma adesso mi passa.
- Francois, Battista, voi come state?
- Sono ferito al braccio Signore, ma non è un taglio profondo, non vi preoccupate.
- Francois e tu?
- A parte il mal di testa nulla di rotto, ma ora come ci tiriamo via da qui?
- Non lo so! Guarda, la sotto c’è un nevaio o un ghiacciaio, saranno 8 o 10 metri, potremmo calarci con una fune, basta che la cesta non si muova!
- Già ma chi ce lo garantisce?
Intanto Battista si è fasciato alla meglio il braccio e, con il coltello, ha tagliato un pezzo di fune sufficientemente lungo che porge a Charbonnet.
- Caleremo prima Annetta, poi scenderete voi due.
- Oh Joseph e tu?
- Non temere, scenderò dopo, ora, muoviti piano e vieni che ti lego questo capo della fune attorno alla vita.
Pochi minuti dopo Annetta mette i piedi sul ghiacciaio sottostante, poi è la volta di Battista, ma intanto le funi e la tela che bloccano la cesta cominciano a cedere, il tessuto si lacera e la cesta scivola ancora un po’ verso il basso.
Annetta urla terrorizzata!
Joseph e Francois tornano ad essere sbatacchiati tra le sponde di vimini, poi, ancora una volta uno strattone secco blocca il tutto: a pochi metri dal ghiacciaio.
A questo punto è inutile riprendere le calate, tagliando le funi, la cesta cadrà di un paio di metri e nessuno dei due occupanti potrà farsi male; detto fatto Francois taglia le funi e con un capitombolo si ritrovano sulla superficie gelata insieme ad Annetta e Battista.
Loro non lo sanno ma hanno urtato contro il crestone nord-est della Bessanese
(quello che meno di trent’anni dopo sarà salito da Umberto Murari Bra con la guida Antonio Bricco “Travinel” e prenderà il nome di “Spigolo Murari”) ed ora si trovano a circa 3000 metri di quota sul ghiacciaio della Bessanese.
I problemi che devono affrontare nell’immediato sono più d’uno:

1. nessuno di loro conosce quelle montagne, quindi non sanno dove sono caduti né dove si possa trovare un alpeggio o un villaggio
2. sono evidentemente molto spaventati e qualcuno anche ferito, seppur in modo leggero
3. indossano tutti abiti da città, ma la cosa peggiore è che anche le scarpe che calzano non sono assolutamente adatte alla montagna
4. non dispongono nemmeno di un bastone o di qualche attrezzo che possa aiutarli a muoversi su un ghiacciaio, sia pur non troppo ripido
5. si sta facendo sera e la temperatura, in ottobre e dopo un temporale, a 3000 metri, non è certo gradevole per trascorrere una notte all’addiaccio.

Annetta continua ad essere scossa da tremiti e si è abbandonata ad un pianto silenzioso e disperato, Joseph cerca di calmarla:
- Tesoro, non fare così, adesso scenderemo a valle, non siamo molto in alto, vedrai che presto saremo al sicuro in qualche alpeggio del Pian della Mussa!
- Joseph, promettiamo insieme una cosa, facciamo un voto: quando saremo tornati a Torino, faremo dono dei miei gioielli da sposa alla Beata Vergine della Consolata.
- Annetta, sai come la penso su queste cose! Non ce n’è alcun bisogno, credimi.
- Ti prego, allora manderemo almeno un quadretto e faremo un pellegrinaggio al santuario!
- Basta! Ti ho già detto che non ce n’è alcun bisogno. Io credo nella scienza, non in queste cose da donnicciole! Oramai è troppo buio per muoverci, passeremo la notte qui e domattina scenderemo al Pian della Mussa. Adesso calmati!

- Ma… la Madonna ci aiuterà a restare sani e salvi; abbiamo già ricevuto una grazia ad uscire incolumi dalla caduta!
- No Annetta, è già deciso!
Intanto Francois e Battista riescono a trovare uno spazio quasi piano, sulla superficie del ghiacciaio, abbastanza largo per farci stare la cesta coricata su un fianco, così che possa offrire un seppur modesto riparo per la notte ad Annetta; poi tagliano con i coltelli la tela del pallone e ricavano alcuni pezzi che possono fungere da coperte mentre, con degli spezzoni di funi e dei picchetti, ricavati sempre dalla struttura della cesta, provvedono ad ancorare quest’ultima alla superficie ghiacciata onde evitare che scivoli durante la notte.
Intanto il buio è calato sui naufraghi, Annetta si rannicchia verso il fondo della cesta e gli altri cercano di ripararsi come meglio possono nello spazio rimasto, si proteggono alla meglio con le coperte di fortuna e si preparano ad affrontare la notte all’addiaccio.
Nessuno ha voglia di parlare, nessuno riesce ad addormentarsi, nessuno trova quiete; gli occhi sbarrati nel buio cercano di vedere qualche luce verso il fondovalle, per avere un riferimento il mattino seguente, ma nessun segno umano arriva loro.
Solo il sibilo del vento tra le creste e le stelle di una splendida notte di ottobre gli fanno compagnia; la temperatura è scesa sotto lo zero, non di molto per fortuna, ma comunque il freddo pungente penetra le loro membra fino a quando, fiaccati anche dagli avvenimenti della giornata, scivolano, chi più chi meno, in una sorta di torpore, un dormiveglia popolato da incubi, continuamente interrotto da cupi pensieri per le difficoltà ignote che dovranno per forza affrontare il giorno dopo.
Joseph rimugina continuamente su come sia potuta succedere una sciagura del genere, doveva essere il suo viaggio di nozze, a quest’ora avrebbero dovuto trovarsi tutti a Bessans, in allegria tra vecchi amici e invece eccoli li, a battere i denti su un ghiacciaio in mezzo a montagne che nessuno di loro ha mai percorso, senza speranza di ricevere aiuto da alcuno, con scarpe e vestiti inadatti ma soprattutto con la pesante incertezza del domani.
Fa un rapido calcolo: avevano appena superato Balme quando sono entrati nelle nubi, quindi dovrebbero trovarsi poco sopra il Pian della Mussa, dovrebbe bastare scendere il ghiacciaio e poi, una volta sui pascoli, non dovrebbero avere troppe difficoltà a raggiungere il Piano e la salvezza; quante incertezze, quanti dubbi, ci saranno dei crepacci? Troveranno la via?
Finalmente il cielo comincia a schiarire un poco verso est, il freddo si è intanto fatto più pungente, restare fermi, con gli abiti leggeri e con solo le coperte di fortuna, diventa quasi un supplizio, le membra si intorpidiscono, i quattro sentono la necessità di muoversi per non patire di più.
Tutti si alzano in piedi, si sgranchiscono dopo le poche ore passate nel vano tentativo di trovare riposo, si muovono con cautela sulla superficie del ghiacciaio resa ancor più dura dal freddo della notte, sanno bene che uno scivolone potrebbe essere fatale.
Charbonnet propone di provare a scendere.
- Adesso si può già vedere qualcosa, tanto vale che ci muoviamo, prima ci togliamo da qui e meglio è!
- Joseph, ma come facciamo con le scarpe che abbiamo? Io faccio fatica a restare in piedi.
- Annetta, tesoro, cerca di farti forza, non abbiamo niente che ci possa servire per migliorare la nostra situazione.
- No, forse ti sbagli. Se noi tagliamo delle strisce di tela e fasciamo le scarpe scivoleremo di meno che non con il cuoio.
- Bravo Francois, mi sembra un’ottima idea!
Così Francois e Battista mettono ancora mano ai loro coltelli per ricavare delle strisce dalla tela del pallone, quindi ciascuno se le avvolge attorno alle scarpe facendole passare anche sotto e legandole pi con pezzi di fune.
In questo modo l’attrito migliora notevolmente anche perché, la fune, passando sotto le suole, crea delle costolature trasversali che, per quanto poco, evitano di scivolare.
Sono circa le 5 del mattino quando iniziano a muoversi: Charbonnet in testa seguito dalla giovane moglie, quindi Francois e Battista.
Scendono molto adagio, ad ogni passo devono assicurarsi di aver poggiato il piede con sufficiente sicurezza prima di staccare l’altro da terra, nonostante questo gli scivoloni e le cadute sono una costante, per fortuna senza danni; in certi tratti dove il ghiacciaio scende più ripido, sono costretti a sedersi e scivolare piano piano cercando di arrestarsi con le mani e piantando continuamente le dita nella superficie gelata.
Dopo breve le mani di tutti sono insanguinate, le unghie consumate mettono a nudo la carne viva sottostante.
- Joseph, non ce la faccio più!
- Coraggio povero tesoro mio, non posso aiutarti in alcun modo, ancora poco e saremo sulle rocce, poi sarà più facile, almeno non scivoleremo piu. Anzi guarda, alla nostra sinistra, laggiù in basso, c’è un affioramento, proviamo a portarci là sopra.
Francois e Battista si affiancano ad Annetta.
- Coraggio signora, si appoggi come meglio può a noi, così almeno non dovrà più rovinarsi le mani. Vedrà che Joseph ci porterà fuori da questo guaio!
Scendono ancora un poco descrivendo ampie svolte sul ghiacciaio, poi piegano verso sinistra verso le rocce che hanno visto.
Le rocce, costituiscono un affioramento che si insinua trasversalmente nella superficie del ghiacciaio che, subito oltre, aumenta di pendenza aprendosi in alcuni profondi crepacci per poi scendere ancora con una lingua poco inclinata a morire sui seracchi, prima della morena terminale.
I quattro sfortunati, portandosi sull’affioramento credono di fare cosa buona, ma non sanno che, l’acqua e la neve cadute durante il temporale del giorno prima e poi il gelo repentino della notte, hanno ricoperto tutte le rocce di un insidiosissimo strato di verglass che, non essendo ancora stato scaldato dal sole, non ha avuto modo di sciogliersi.
Monsieur Charbonnet è il primo a mettere piede sulle rocce, vi sale sicuro voltandosi per aiutare Annetta ma, all’improvviso, scivola sul verglass e non riesce ad evitare di perdere l’equilibrio e cadere!
Ruzzola per qualche metro tra i sassi e poi è di nuovo sulla sottostante superficie del ghiacciaio, tenta ancora di fermarsi con le mani, di aggrapparsi ad uno spuntone, ma lo slancio è troppo forte e continua a scivolare velocemente verso il basso, verso il basso e verso la larga fenditura bluastra di un crepaccio.
Non c’è niente da fare, il ghiaccio lo inghiotte!
Dalle rocce soprastanti, gli altri tre, hanno visto tutto: Annetta è impietrita dal terrore, incapace di muoversi, vorrebbe gridare ma nessun suono esce dalla sua gola, poi si accascia priva di sensi; Francois e Battista cercano di rianimarla, pian piano lei si riprende, seduta su una roccia di copre il volto con le mani e piange disperatamente.
Battista, il più agile, scende rapidamente le rocce, percorre con grande fatica la superficie del ghiacciaio e si porta verso il crepaccio e comincia a chiamare a gran voce:
- Monsieur Charbonnet, Monsieur Charbonnet.
Ma nessuna risposta giunge dalle profondità del ghiacciaio!
Lentamente risale verso i suoi due compagni e, tutti, cominciano a rendersi conto che forse, per Joseph, non resta molto da fare; certo se riuscissero a scendere in fretta a Balme le guide del paese potrebbero tentare un’estrema operazione di soccorso, forse Charbonnet non risponde solo perché privo di sensi, magari è ferito ma non è detta l’ultima parola, di persone recuperate vive da crepacci è piena la storia dell’alpinismo, bisogna scendere subito, non indugiare oltre.
Annetta però non vuole sentire ragione: lei resterà lì con suo marito, loro vadano pure a cercare aiuto, a lei non importa più nulla, vuole solo piangere da sola con il proprio immenso dolore, pur cullando in cuor suo la vaga speranza che Joseph sia ancora vivo.
- Annetta, la prego, io e Joseph siamo grandi amici sin dall’infanzia, lui non vorrebbe assolutamente che la lasciassimo qua, venga con noi, ormai il ghiaccio è quasi finito, ancora un piccolo sforzo e saremo sui pascoli, è ancora presto, se ci sbrighiamo già nel pomeriggio potranno salire i soccorritori!
- Non me ne importa nulla, dopo tre giorni di matrimonio forse sono già vedova, come potete pensare di riuscire a consolarmi? Andate voi, salvatevi, io resterò a fare compagnia al mio Joseph.
Battista ha una proposta:
- Scendi tu Francois, io resto con la signora, cerca aiuto e poi manda qualcuno a prenderci e a cercare il Signor Charbonnet.
- No Battista, da solo non sono certo di farcela, se dovessi avere anch’io un incidente nessuno verrebbe mai a cercarvi e morireste qui di freddo.
- Anche questo è vero!
- Signora, dobbiamo scendere tutti e tre e dobbiamo farlo subito! Più il tempo passa e peggio le cose si mettono per suo marito! Se ne rende conto?
- Ma come posso lasciarlo?
- Annetta, non lo sta lasciando, sta cercando di salvargli la vita, l’unico modo per farlo è trovare prima possibile dei soccorsi!
- Io, non so…
- Annetta, la prego, facciamo presto!
Finalmente Annetta si persuade ed i tre cominciano a muoversi scendendo sulla lingua di ghiacciaio sottostante; la fretta di trovare soccorso li rende imprudenti, cercano di andare più veloci che possono, procedono in fila in diagonale sulla superficie gelata verso la morena che cominciano a vedere un po’ più in basso.
Improvvisamente una vibrazione che arriva da sotto i loro piedi li scuote e li lascia terrorizzati, il ghiaccio sembra che si stia rompendo, che si muova, sembra che stiano scendendo pur essendo fermi!
In un attimo sono tutti e tre a terra, un boato rimbomba tra le montagne, un turbinio di neve gelata li avvolge, scivolano velocemente verso i seracchi: proprio sotto i loro piedi la neve caduta il giorno prima, durante il temporale, si stacca e forma una slavina!
Orrore!
I seracchi li inghiottiranno senza speranza di salvezza!
Ma questa volta il fato è benevolo: la neve della slavina, davanti a loro, riempie le spaccature dei seracchi e gli evita di caderci dentro.
Pochi istanti e i tre si ritrovano sbatacchiati sulla morena, acciaccati ma salvi!
Da qui in poi la discesa è relativamente facile, i pascoli del Gias della Naressa non presentano ostacoli difficili da superare, in breve i tre raggiungono il bordo orientale dei prati e finalmente vedono sotto di loro le case del Pian della Mussa.
La salvezza sembra a portata di mano, ma Francois, che precede gli altri, si arresta di botto: davanti a loro scende una parete di rocce strapiombanti.
Scrutano a destra e a sinistra, la parete sembra senza interruzioni, non ci sono passaggi percorribili, di li non si scende, il miraggio della facile salvezza sfuma nuovamente.
- Francois, e adesso cosa facciamo?
- Non lo so Annetta! L’unica cosa è provare a spostarci un po’ e vedere se troviamo un canalone che scenda verso il Piano e che si possa percorrere senza sfracellarci.
- Ci sarà pure una via!
- Ci sarà, Battista, ma noi non sappiamo dove, potrebbe anche essere molto spostata rispetto a dove siamo adesso.
Annetta si siede al riparo di un masso mentre gli altri due perlustrano la zona spostandosi verso nord e verso sud; purtroppo dopo ore di tentativi non sono riusciti a trovare nessun passaggio attraverso la parete di roccia strapiombante!
Intanto il sole è tramontato e la fresca brezza della sera li avvolge annunciando l’ineluttabilità di una seconda notte all’addiaccio.
Si rannicchiano tutti e tre sotto il masso dove è Annetta, si stringono per ripararsi dal freddo, non hanno neanche più le coperte di fortuna, la fame comincia a farsi sentire, le forti emozioni della giornata lasciano il posto ad un dolore sordo e profondo, la frustrazione di non poter fare nulla per Joseph che sperano ancora in vita nel crepaccio.
Annetta piange in silenzio, Battista e Francois guardano lontano nel buio macinando rabbia per non essere riusciti ad arrivare al Pian della Mussa, non hanno più parole, lo sconforto li assale, vorrebbero disperarsi, urlare contro il destino, un destino crudele che sembra favorirli e poi, sul più bello, si diverte a lasciarli con un palmo di naso!
No, non c’è tempo per lo sconforto, la rabbia non risolverà nulla, bisogna cercare di recuperare un po’ di forze per il giorno dopo, bisognerà scendere a tutti i costi.
La seconda alba sulla montagna li trova tutti e tre assopiti, essendo scesi di quota il freddo della notte è stato tollerabile, la stanchezza accumulata in due giorni di peripezie ha avuto il sopravvento sui loro sentimenti e sulla paura, finalmente si sono potuti rinfrancare con qualche ora di sonno.
Si guardano senza parlare, ognuno legge sul volto e negli occhi dell’altro il proprio stato d’animo, la propria sofferenza e le proprie paure.
François prende in mano la situazione:
- Ieri ci siamo spinti verso nord e non abbiamo trovato nessun passaggio percorribile, secondo me dovremmo provare a spostarci dalla parte opposta, prima che facesse buio mi è sembrato di notare un tratto in cui la parete di roccia è meno alta e dove forse c’è un canalino.
- E se ti fossi sbagliato?
- Dobbiamo andare a vedere, non c’è altro modo!
Annetta li supplica ancora di lasciarla lì.
- Non so se posso farcela, tornerete a prendere me e Joseph!
- Annetta, è passat …
- Che cosa è passato? Troppo tempo? Oh Francois, vuoi dire che Joseph è ormai morto? No, ti prego, non togliermi anche questa speranza, se avessi la certezza che è così non esiterei a buttarmi da queste rupi!
- Non dica queste cose signora, commette un grave peccato.
- Mio caro Battista, tu non puoi capire il dolore che ho dentro!
- Certo che posso, signora, ci sono passato anch’io qualche anno fa, con la mia prima moglie…, mah non voglio ricordare! E’ meglio che ci muoviamo.
Spingendosi verso sud scoprono con sollievo che Francois aveva visto bene, la bastionata di rocce è interrotta da un ripido canale che sfocia direttamente sui pascoli del Pian della Mussa, sembra quasi un sentiero, sembra che sia già stato percorso, magari dalle capre al pascolo, comunque è percorribile seppur con molta cautela e, in meno di un’ora, i tre sono nel piano.
Finalmente!
Camminano spediti, spinti dalla forza della disperazione, verso valle fino a che incontrano i casolari delle Grange della Mussa.
I Tuni, proprietari dei pascoli, sono ancora lì, si sono attardati a ridiscendere a Balme, visto anche l’autunno mite, per sistemare il fieno e la legna raccolti durante l’estate.
- Mamma, mamma, guarda ci sono dei villeggianti!
- Dei villeggianti qui in questa stagione?
La donna si affaccia sulla porta della cucina asciugandosi le mani nell’ampio grembiule ed effettivamente si accorge che il bambino ha detto il vero: due uomini e una donna, in abiti da città, si stanno avvicinando a grandi passi, quasi di corsa.
- Aiuto, aiutateci, è successa una disgrazia!
I tre raccontano rapidamente l’accaduto alla donna la quale non esita un attimo:
- Toni, Cesco, venite subito giù dal fienile, presto!
- Ma cosa c’è da gridare così? Chi sono questi signori?
- E’ successa una disgrazia verso la Bessanese, hanno bisogno di aiuto, sbrigatevi! Un uomo è caduto in un crepaccio!
- Ma come …
- Toni, non insistere, vieni giù che ti racconto, intanto tu, Cesco corri a Balme e organizza un gruppo di soccorso, subito!
Mentre Francesco Castagneri, detto Carloùn, corre verso Balme, Antonio Castagneri, detto Barbisin, e la moglie riascoltano il racconto dei tre superstiti.
- Certo che non sarà facile. Sapete indicare più o meno il posto dove siete caduti?
- Purtroppo no, non conosciamo queste montagne. Abbiamo urtato un muro di roccia e siamo precipitati su un ampio ghiacciaio, poi siamo scesi come potevamo ed il mio amico Joseph è caduto in un crepaccio!
- Il ghiacciaio era ripido?
- Non tanto, a tratti, non saprei…
Intanto, da Balme sono arrivati, insieme a Carloùn, Angelo e Battista Castagneri, Pietro Minoùia, due carabinieri e due guardie di finanza, che, insieme a Barbisin partono immediatamente alla ricerca del luogo della sciagura.
Da Balme sono salite anche altre due guardie di finanza che, dopo che sono stati rifocillati, accompagnano i tre superstiti all’ Albergo Camusot.
I soccorritori non hanno che una vaga idea di dove può essere caduto l’aerostato e, risaliti rapidamente i pascoli della Naressa, si portano sul vasto ghiacciaio di Pian Gias, ma dopo l’intera giornata di ricerche non hanno ancora avvistato nulla.
Si spostano al Crot del Ciaussinè e pernottano nello spartano rifugio ivi costruito qualche anno prima (l’attuale Rifugio Gastaldi vecchio); all’alba non sanno cosa fare: ma dove diavolo saranno caduti?
- Se hanno sbattuto contro un muro di roccia potrebbero essersi schiantati contro la parete della Bessanese e il ghiacciaio potrebbe essere questo che abbiamo di fronte.
- Si, potrebbe. Tanto a Pian Gias non abbiamo trovato nulla, tanto vale provare da questa parte.
- Saliamo un po’ sulla morena e poi, con il cannocchiale possiamo dare un’occhiata.
Raggiunta la sommità della morena frontale del Ghiacciaio della Bessanese, una macchia di colore giallognolo attira la loro attenzione: si tratta della tela e della cesta dell’aerostato adagiate sulla superficie di ghiaccio.
Gli uomini salgono rapidamente alla volta dell’involucro, poi trovano le tracce della discesa dei naufraghi, si spostano verso una lingua di rocce e, sporgendosi, 30 metri più in basso, scorgono il crepaccio.
Pietro Minoùia viene calato con una fune nel crepaccio:
- C’è?
- Non lo vedo, calatemi ancora un po’.
- E adesso?
- Si, c’è, ma è morto! Ha battuto forte la testa nella caduta! Mandatemi un’altra corda così lo lego e lo tiriamo fuori.
E’ pomeriggio quando il corteo dei soccorritori con il corpo senza vita di Joseph Charbonnet arriva a Balme, lo depongono sul piazzale dell’Albergo Camusot, Annetta si precipita fuori e si getta disperata sul corpo senza vita del marito!
Gli altri guardano muti la pietosa scena, nessuno osa dire nulla, nessuno saprebbe cosa dire, un viaggio cominciato all’insegna della gioia si è mutato rapidamente in una terribile tragedia, l’idea di una vita felice insieme di due giovani sposi si è spezzata su un muro di grigia roccia ed ha avuto fine in una gelida tomba di ghiaccio.
Imprudenza, fatalità, chi lo potrebbe dire?
Francois si avvicina ad Annetta e la solleva con dolcezza.
- Annetta, fatevi forza, Joseph ha fatto tutto per salvarci, purtroppo la montagna ha chiesto proprio a lui di pagare il prezzo più alto! Lui non vorrebbe certo vedevi in questo stato!
- Perché non mi ha voluta ascoltare quando gli ho detto di fare voto alla Consolata? Adesso sarebbe vivo! Da parte mia ritengo che un miracolo ci sia stato, anzi, più di uno, altrimenti saremmo morti tutti; offrirò un quadro alla Madonna.
Due giorni dopo Joseph Charbonnet viene sepolto nel piccolo cimitero di Balme e sulla sua tomba la moglie fa collocare una lapide:

AL COMPIANTO JOSEPH CHARBONNET
VALENTE CALDERAIO, MECCANICO ED AERONAUTA
PERDETTE LA VITA SUI MONTI DELLA BESSANESE
IL 10 OTTOBRE 1893
LA VEDOVA E LA FAMIGLIA STAMMER
DESOLATI POSERO.